Sono circa 600 i femminicidi registrati in Italia negli ultimi quattro anni. Come sono migliaia le panchine rosse sparse per le strade e le mostre di scarpe, sciarpe, mutandine e vestiti nelle piazze delle province italiane.
Sono passati cinque otto marzo di donne festeggiate, coccolate, adulate, poste su un piedistallo, santificate.
Cinque otto marzo di mimose, regalini, cioccolatini, trafiletti scritti sui social o su un bigliettino incastrato in un bouquet di rose.
La glorificazione della donna che "non si tocca neanche con un fiore", della donna che potrebbe essere figlia, sorella, cugina, madre, nonna di tutti, della donna che ha troppo amato e che non ce l'ha fatta. Una stomachevole messa in scena di sofferenza e rimpianti.
Ogni otto marzo la stessa tiritera: "La vita è un dono prezioso e bisogna accoglierlo e curarlo". La stessa sporca ipocrisia di chi, in fondo, vuole soltanto ripulirsi la coscienza.
Ogni donna che conosco ha subito violenza, dalla più piccola a quella senza ritorno. Eppure ci si ostina a fingere che il problema non ci riguardi, che certi mostri appartengano solo alle cronache nere. Fino a quando? Fino a chi?
Ogni giorno mi sveglio chiedendomi come sia possibile inciampare ancora nella stessa pietra. Perché bisogna usurpare il nome di quelle che non sono più tra noi per festeggiare la nostra vita?
Non ci vedo nulla di appagante nella memoria di chi non c'è più. Non mi piace essere celebrata perché il pensiero fisso di una possibile donna fatta a pezzi, buttata in un lago, bruciata dalle mani di chi diceva di amarla, nascosta meticolosamente dove nessuno potrà mai trovarla mi lascia senza fiato ogni giorno della mia esistenza. Non riesco a provare sollievo nell'essere ancora qui.
Perché la mia paura più grande è di essere la prossima. Perché, nello stesso istante in cui scrivo queste banalissime righe, rinchiusa tra quattro mura bianche di solitudine, sotto gli stessi occhi indifferenti del mondo, donne stanno smettendo di esistere.
E mentre, la notte, realizzo che il dolore più grande che una madre potrà mai provare sarà mettere al mondo una femmina e penso ai loro futuri eterni silenti silenzi, non riesco a fingere che questa agonia non mi appartenga. E piango, sperando che il panico purifichi la colpa dell’essere ancora in vita, in nome di quelle sorelle che il fiato l'hanno perso per aver "troppo" respirato.
Quindi no. Non festeggio di essere in vita e non martirizzo chi la vita l'ha persa.
Prego per una coscienza e Voglio giustizia.
(labour-paris paloma)
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